Festival Machiavellerie – Gli intellettuali e il potere
Nel XVIII capitolo del Principe Machiavelli parlò della necessità della simulazione e della dissimulazione per i capi di governo («è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore»), ricorrendo, tra le altre cose, alla celebre metafora della volpe e del leone. In questo brano si era soliti individuare uno dei nuclei originari della teoria della dissimulazione che tanta fortuna ebbe tra Cinque e Seicento, che in quei secoli si intrecciò con il nicodemismo religioso. Ma non solo. Fu il filosofo Girolamo Cardano a cogliere nei testi di Machiavelli anche un secondo piano della dissimulazione: non quella esplicita, raccomandata ai prìncipi, ma quella implicita, riconosciuta nella pratica della scrittura coperta, nelle tecniche retoriche impiegate per far emergere posizioni radicali diluendole all’interno della struttura del discorso.
Quello della dissimulazione di scrittura praticata sotto il pericolo della censura è uno dei temi più affascinanti per lo storico delle società di antico regime e non solo (si pensi a Persecution and the art of writing di Leo Strauss), e al contempo espone a dei rischi interpretativi in chi intende tracciarne la storia senza un’adeguata cautela. Per quanto riguarda il Quattro e il Cinquecento italiani, gli studi hanno via via chiarito come nell’Umanesimo la dissimulazione di idee eterodosse fosse ampiamente diffusa, ben prima di Machiavelli. Viceversa, non c’è discorso sul rapporto tra intellettuali e potere dall’Illuminismo al mondo contemporaneo che non la evochi. Per questo affrontare la questione della storia della dissimulazione politica, religiosa e intellettuale dal Quattrocento in avanti, passando necessariamente per Machiavelli, il contesto in cui nacquero i suoi scritti e insieme la sua fortuna, è una delle vie obbligate per capire la nostra storia e il nostro presente.
(Daniele Conti, Consulente scientifico della IV edizione del Festival Machiavellerie)